La terza uscita di questa newsletter, prevista per maggio, non c'è stata. A dimostrazione che mantenere un impegno a cadenza regolare è più difficile di quanto avessi mai immaginato.
Ma, anziché demordere, io persevero e invio una newsletter il 27 di giugno. Per di più, una newsletter sulle campagne sociali che non parla propriamente di una campagna di comunicazione o di marketing. Ma che alla fine viene ricordata allo stesso modo.
Questa è stata l'homepage del sito internet di Patagonia a partire dal 4 dicembre 2017.
Potrebbe sembrare una campagna di comunicazione, e in parte lo è stata, ma ha delle fondamenta solide su azioni concrete.
Una cosa successa negli Stati Uniti
Che gran parte del mondo avrebbe ignorato, non fosse stato per Patagonia.
Il 4 dicembre 2017 Donald Trump era presidente degli Stati Uniti d'America da meno di un anno quando annunciò una drastica riduzione dello spazio occupato dal monumento nazionale Bears Ears, nello Utah. Si tratta di una montagna rocciosa che copre una superficie di oltre 5.000 km²: l'azione voluta da Trump l'avrebbe ridotta ad appena 800.
Naturalmente dietro a questo annuncio c'erano gli accordi di Trump con le compagnie petrolifere che, senza la protezione del luogo come monumento nazionale, avrebbero potuto tranquillamente distruggere un sito naturale rimasto immutato da millenni, meta di rispettosə climber e luogo di culto per diverse popolazioni native.
La potenza dell'azione di Patagonia è meglio comprensibile se pensiamo che fu Barack Obama a proclamare Bear Ears monumento nazionale, esattamente il 28 novembre 2016, ovvero nel suo ultimo giorno di mandato prima delle elezioni che videro Trump vincitore.
È così facile contaminare o distruggere le meraviglie della natura? Sì, basta la decisione di un solo essere umano. A meno che non ci siano tante altre persone che si oppongono a questo essere (umano?).
Il problema è che la maggior parte delle volte non basta volersi opporre, ma bisogna essere in grado di organizzarsi, oltre ad avere un bel po' di fegato.
Cos'ha fatto Patagonia
Il fegato ce l'ha avuto proprio questa azienda che non si è limitata a fare quella pagina internet ma ha realmente denunciato il presidente Trump, sostenendo che la riduzione delle dimensioni dei monumenti nazionali fosse illegale.
Nel caso non avessi afferrato bene quanto appena scritto, lo ripeto: Patagonia ha denunciato Donald Trump.
Un'azienda, che vende abbigliamento e attrezzature sportive, con un fatturato di più di 1 miliardo di dollari all'anno, ha denunciato il presidente della nazione in cui è nata, ha sede e paga le tasse.
L'home page del sito, con la memorabile headline The President stole your land è stata solo la punta dell'iceberg della comunicazione: l'azienda ha collaborato con Google per mettere online un sito con una serie di video in realtà virtuale che permettevano al pubblico di stare all'interno di Bears Ears e afferrare l'unicità di quel luogo.
Nei video veniva chiesto direttamente al pubblico di contattare il Segretario degli Interni Ryan Zinke chiedendogli di salvare il monumento.
Per massimizzare la portata del messaggio anche a un pubblico che di solito non raggiunge, il fondatore Yvon Chouinard si è anche prestato per il primo spot televisivo dell'azienda in 44 anni, mostrandosi seduto accanto a un fiume a riflettere sulle virtù dei luoghi selvaggi.
Patagonia era preparata a questa evenienza: fin dalla sua nascita ha sempre mescolato i propri affari con la politica, difendendo l'ambiente, il commercio equo e norme lavorative più rigorose. Inoltre, era coinvolta con Bears Ears già da qualche anno, ovvero da quando il sito era diventato oggetto di interesse di compagnie petrolifere avide di guadagni a discapito della natura. I video in realtà virtuale infatti erano già stati prodotti, anche se inizialmente l'intento era la promozione della consapevolezza sul luogo.
Ecco perché è stata in grado, in sole 24 ore, di mettere online la home page che avete visto, coinvolgere il pubblico sui social network condividendo post sull'importanza della preservazione delle terre pubbliche (notevole, e tuttora usato, l'hashtag #ProtectPublicLands) e, contemporaneamente, intraprendere una causa contro Donald Trump insieme allo studio legale Hogan Lovells con cui aveva già preparato le basi per questo attacco diretto.
Oltre la pubblicità: se ci credi davvero, niente ti ferma
Poche ore dopo l'annuncio del Presidente, e l'inizio dell'accusa (mi piace pensarla come una controffensiva) di Patagonia, succede qualcosa di imprevedibile: viene segnalato un incendio boschivo a Santa Paula, in California, una piccola comunità vicina a Ventura, dove c'è la sede di Patagonia.
In un attimo, i venti caldi e secchi di quel giorno hanno trasformato l'incendio in un inferno e gran parte di Ventura è stata evacuata. Proprio nel momento in cui Patagonia stava preparando la causa contro il Presidente, il suo campus è stato chiuso a tempo indeterminato e i dipendenti hanno abbandonato le loro case. Prontamente, l'azienda ha stabilito un fondo di emergenza di 10 milioni di dollari per aiutare tutta la popolazione di Ventura, mentre i dipendenti di Patagonia sono stati autorizzati ad addebitare all'azienda gli affitti delle loro nuove case temporanee.
Mentre Patagonia e i sostenitori di Trump si scambiavano frecciate, l'incendio, noto come Thomas Fire, è diventato il più grande incendio forestale nella storia moderna della California. Da quel giorno ha bruciato per più di un mese, distruggendo più di mille strutture e costringendo all'evacuazione circa 100.000 persone.
Il centro di Ventura e il campus di Patagonia furono risparmiati, ma alcuni dipendenti hanno perso le loro case, compresa quella dell'allora CEO Rose Marcario che il 6 dicembre, in pieno incendio in corso, ricevette l'email che chiedeva la conferma della causa "Patagonia vs. Trump", e si apprestava a comunicare all'azienda intera l'avvio ufficiale della causa legale contro il Presidente degli Stati Uniti.
Risultati
Ho fatto molte ricerche ma misurare l'impatto mediatico della campagna non è stato per niente facile, a posteriori.
Oggi su Instagram ci sono quasi 50mila contenuti con l'hashtag #ProtectPublicLands, ma è impossibile trovare i dati originali su Twitter, il social che ha dato maggior diffusione all'azione attivista di Patagonia nel 2017.
Per una volta, però, possiamo guardare ai risultati effettivi reputandoli di gran lunga più importanti di quelli mediatici.
La causa di Patagonia contro Donald Trump è rimasta bloccata a lungo nei tribunali, insieme ad altri due casi intentati da gruppi esterni a Patagonia. Secondo il New York Times, a marzo 2018 - quindi appena tre mesi dopo - lo studio legale Hogan Lovells aveva fatturato 1,7 milioni di dollari in ore di lavoro pro bono. Ovvero: gratis, per una buona causa.
La controversia è proseguita fino alla fine del mandato di Trump quando, nel 2021, il suo successore Biden ha ristabilito la protezione di Bears Ears come monumento nazionale, insieme ad altri tre luoghi storico-naturali: Grand Staircase-Escalante, Northeast Canyons e Seamounts National Monuments.
Perché la ricordiamo come una campagna
Questa non è stata una vera campagna di comunicazione: è stata un'azione di brand activism che però, grazie al tempismo di una preparazione velocissima e alla perseveranza poi, si è fatta notare rimanendo memorabile.
Tanto merito anche a quella headline sul sito: forte, assertiva, accusatoria, non ha paura di ritorsioni perché è sul piede di guerra per attaccare per prima.
E quel your? Chi sono le persone di cui è la terra? Le popolazioni native, chi ci vive da sempre, ma anche chi pratica l'arrampicata - lo sport che ha dato inizio alla nascita di Patagonia come azienda - fino a tutte le persone che credono nella preservazione dell'ambiente naturale - perché oggi Trump ruba Bears Ears e domani ruba altri pezzi di terra.
Per me, l'insegnamento è chiaro:
identifica bene la causa in cui credi
trova una situazione reale che sia direttamente influenzata
prepara i mezzi per difenderti e per attaccare, in qualsiasi momento
Patagonia come modello di brand actvism
Aggiungo qualche riga per dire qualcosa in più su questa azienda, per chi non la conoscesse.
Fondata nel 1973 come azienda produttrice di attrezzature per arrampicata, ma non attrezzature qualsiasi: Yvon Chouinard, grande appassionato di arrampicata, ha inventato e messo in vendita dispositivi di protezione che non richiedevano di essere martellati nella roccia, a differenza dei chiodi tradizionali. Questi dispositivi potevano essere inseriti nelle fessure della roccia e rimossi senza danneggiarla, preservando così l'integrità delle superfici rocciose.
Dall'attrezzatura, la produzione si è allargata fino all'abbigliamento iconico che oggi conosciamo, ma la responsabilità sociale non ha mai abbandonato la missione di Patagonia, con innumerevoli iniziative di promozione ambientale al quale vengono da sempre destinati parte dei profitti.
Nel settembre 2022 la proprietà di Patagonia è stata trasferita a due organizzazioni non profit:
Patagonia Purpose Trust: detiene il 100% delle azioni con diritto di voto di Patagonia, con lo scopo di garantire che l'azienda rimanga fedele alla sua missione e ai suoi valori.
Holdfast Collective: possiede tutte le azioni senza diritto di voto e riceve i profitti di Patagonia che, al netto delle spese, saranno utilizzati per combattere la crisi climatica, proteggere la natura e promuovere la giustizia ambientale.
Il trasferimento di proprietà a queste entità dimostra un modello innovativo di capitalismo responsabile, in cui un'azienda può continuare a prosperare commercialmente mentre dedica i suoi profitti alla protezione del pianeta.
Altre azioni/campagne memorabili di Patagonia
Don't Buy This Jacket (2011)
In occasione dell Black Friday, Patagonia ha pubblicato un annuncio a tutta pagina sul New York Times, che ritraeva una delle sue giacche più vendute, con il titolo "Don't Buy This Jacket": lo scopo era invitare i consumatori a riflettere sui loro modelli di consumo e a considerare l'impatto ambientale dei loro acquisti.
100% for the Planet (2016)
Durante il Black Friday del 2016, invece, Patagonia ha donato il 100% delle sue vendite di quel giorno a gruppi ambientalisti di base, raccogliendo circa 10 milioni di dollari in un solo giorno.
Vote the Environment (2004 e 2020)
Questa campagna, rilanciata in diversi cicli elettorali, ha incoraggiato i cittadini a votare con l'ambiente in mente. Patagonia ha creato contenuti educativi e materiali di sensibilizzazione per aiutare gli elettori a capire l'importanza delle politiche ambientali, influenzando il dibattito politico e promuovendo una maggiore consapevolezza delle questioni ambientali tra il pubblico.